Il complicato mondo della farina

In base alla mia esperienza di nutrizionista, vi consiglio di scegliere sempre farine di origine italiana macinate da non più di 8 mesi; se le avete comprate al Mulino appena macinate, queste dovranno essere lasciate maturare per almeno 3 giorni prima di essere utilizzate. Bisogna lasciarle in un sacchetto di cotone, in luogo fresco e asciutto, e mescolarle frequentemente.

La qualità di una farina dipende dal mugnaio e dalla sua conoscenza; si fa partendo dalla qualità dei grani, miscelando opportune cultivar, con controlli rigorosi e tanta consapevolezza, ma soprattutto senza usare: acido fosforico, fosfati, biossido di silice, silicati, acido ascorbico, L- cisteina, glutine secco, enzimi vari, eccetera che, ahimè, sono consentiti dalla legge.

In base a ciò che vogliamo produrre, dobbiamo imparare a conoscere alcune caratteristiche specifiche della farina, la forza (W) e il grado di raffinazione.

La forza della farina “W” è la capacità che questa ha di assorbire l’acqua durante l’impasto formando un reticolo in cui sarà intrappolata l’anidride carbonica che si sviluppa durante la lievitazione, cosa che farà gonfiare l’impasto. La W dipende dal contenuto proteico, principalmente da gliadina e glutenina, che insieme compongo il glutine. Se volessi un prodotto a lunga lievitazione e che sia molto gonfio (es. il Panettone), avrò bisogno di una farina forte con un valore W alto (W 270 – 350) e con una percentuale di proteine del 13 –14 %; questa farina avrà una grande capacità di assorbire acqua e grassi e di trattenere tanta anidride carbonica, come appunto nel Panettone. Al contrario, una farina debole, con W tra 90 e 170, conterrà meno proteine e assorbirà meno acqua, quindi ottima per preparare alimenti poco lievitati come biscotti, focacce, grissini.

Il secondo tipo di classifica delle farine dipende dal grado di raffinazione del grano, quindi se il chicco di grano è stato privato della crusca e del germe avremo la Farina 00; segue la Farina 0, poi ci sono le semi-integrali di tipo 1 e di tipo 2, infine avremo la Farina integrale, ottenuta dalla macinazione del chicco in tutte le sue parti. Da questo si evince che la 00 è la farina più povera di nutrienti.

Un’altra distinzione è quella tra grano di tipo duro e grano di tipo tenero; oltre alle proprietà differenti hanno anche delle spighe a forma diversa di facile riconoscimento: in quelle di tipo duro hanno delle barbe lunghissime, le reste, che mancano invece in quelle teneri o, se ci sono, sono corte.

Dalla macinazione del Grano Tenero (triticum aestivum) si ottiene farina di grano tenero, con diverse diciture: integrale, 2, 1, 0, 00 dipende dalla parte del chicco (del grano) presente e, come già detto, dal grado di macinatura. Dalla macinazione del Grano Duro (triticum durum), si hanno delle farine di colore più giallo (per pasta e panificazione artigianale); il chicco viene macinato e poi passato in setacci di diverse grandezze. Si ottengono così: semola, semola rimacinata, farina di grano duro, e così via.

Esistono anche dei regolamenti che identificano le varietà di grano da utilizzare, ad esempio il Pane di Lentini in provincia di Siracusa (grano Russello, Tumminia, Margherito), il pane nero di Castelvetrano in provincia di Trapani (grano biondo siciliano integrale, Tumminia integrale), il pane di Raffadali in provincia di Agrigento (Maiorca, Perciasacchi, Russello), e tanti altri ancora.

Da qualche anno, anch’io mi sono occupato della coltivazione del grano, nulla di che, giusto un paio di chili di Senatore Cappelli dal fusto lunghissimo che, infatti, raggiunge circa 170-180 centimetri; ne ho seguito tutte le fasi – dalla preparazione del suolo, alla semina in novembre e poi la germinazione, accestimento, levata, spigatura, maturazione in giugno – e posso dire che vedere le spighe che dondolano ad ogni alito di vento è proprio una gioia del cuore.

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