Ci sono due frasi che mi hanno sempre affascinato: “Bisogna mangiare per vivere e non vivere per mangiare” e “Noi siamo quello che mangiamo”.
Proprio così: noi siamo quello che mangiamo, come pure ne è influenzato il mondo. Attraverso le decisioni che prendiamo ogni giorno sugli “alimenti”, esercitiamo infatti un potere ben più ampio che tocca la salute, il mercato, l’ambiente.
Ma accanto al mondo più esterno, vi è anche l’aspetto culturale del cibo: non mi stancherò mai di ripetere che ciò che mettiamo sulla nostra tavola fa parte di lunghe tradizioni, raccontate a voce e tramandate con sapienza.
Pensate per esempio al nostro utilizzo (e spesso produzione personale) dell’olio extra vergine di oliva.
Da questo punto di vista, il mio mestiere è fantastico perché imparo in prima persona e poi condivido il “gusto al mangiar bene” e alle “scelte consapevoli”.
Invece di essere ossessionati dal cibo, dovremmo esserlo dall’educazione alimentare a partire dal reperimento di informazioni semplici, poi facilmente applicabili.
Siamo quasi in inverno. Ecco, che cosa dovrei mangiare in questo periodo dell’anno e quali dovrei evitare? Quali sono i cibi di stagione? Cosa si produce vicino a casa mia? Tutte queste domande fanno parte di un percorso di consapevolezza che possiamo fare insieme.
Bisogna essere coscienti, ad esempio, che comprare cibi standardizzati industriali comporta delle conseguenze sul nostro stato di salute di oggi ma in particolare di domani.
Per fortuna, abbiamo una grande disponibilità di cibo e di scelta, ma dobbiamo stare attenti a non farci trascinare da finte mode salutari, da momentanee ricette di tendenza e da messaggi fuorvianti.
Le fake news sono all’ordine del giorno; il settore dell’alimentazione le subisce come qualunque altro.
Per questo mi batto con ostinazione sull’importanza di conoscere alcuni passaggi fondamentali come saper leggere le etichette e che queste, inoltre, dovrebbero essere puntuali proprio come quelle che sviluppiamo con il software cloud “letichetta”.
I messaggi pubblicitari non vi devono raccontare “la verità”, non fanno giornalismo bensì marketing, cioè agiscono sul mercato per proporvi prodotti e/o servizi.
Esistono tante strategie comunicative, ma di sicuro chi fa advertising non è tenuto a seguire l’etica irreprensibile di noi professionisti o di chi divulga contenuti scientifici o su testate giornalistiche.
La pubblicità non è il diavolo. Vi fa semplicemente visualizzare “delle tentazioni”, il più delle volte senza affrontare argomenti spinosi come il glifosato e simili, insomma tematiche che tratto io in quanto nutrizionista biologo interessato sul serio al vostro benessere.
Come fare a sopravvivere al “troppo”? Intanto vi suggerisco di seguire me e professionisti che come me si occupano seriamente del rapporto cibo-benessere attraverso personali canali social, liberi e quindi indipendenti.
Poi di osservare la vostra realtà: parlate con i contadini che conoscete, con i vostri familiari più anziani legati a tradizioni dai gesti e dai sapori antichi.
Studiate. Informatevi. Chiedete.
Io – per voi – ci sono sempre.